di Roberto Dall’Acqua
Cecilia Crisafulli – apprezzata violinista di Max Raabe e Palast Orchester racconta a Il Giornale del Ricordo la sua vita di artista, ma anche quella di moglie e madre, durante quest’ultimo complicato anno vissuto da reclusi nelle proprie abitazioni a causa del Covid – 19.
– Pandemia. Cosa significa per gli artisti? E’ un anno che non salgo su un palco. Questo vuol dire Pandemia per me in quanto artista. Non posso lavorare, non mi posso esprimere, non posso vivere. Sì, perchè la mia vita o gran parte di essa consisteva in questo: suonare. Suonare con i miei colleghi della Max Raabe e Palast Orchester, suonare sul palco di prestigiosi teatri nel mondo, suonare davanti e per il nostro pubblico e ottenere in cambio il suo caloroso affetto e applauso. Non posso più viaggiare, parte integrante del mio mestiere, e quindi, ripeto, della mia vita. Ero abituata a riempire gli occhi di colori, ero abituata a catturare i momenti, afferrare le sensazioni, ascoltare i suoni che i paesi e le persone mi davano di qua e di là. Ora, costretta tra quattro mura, i suoni sono sempre gli stessi, e mi sembra di vivere una vita in bianco e nero che non è la mia.
– Siamo stati troppi ottimisti la scorsa estate dove in molti si sono mossi tra le regioni italiane?
La scorsa estate sono stata la prima a spostarmi per rientrare in Italia. Ma l’ho fatto dopo mesi di isolamento, per non mettere a rischio la vita di chi avrei incontrato, a partire da quella dei miei genitori, di mia sorella, insomma degli affetti più cari. Mio marito ed io abbiamo scelto di caricare la macchina e affrontare così i 1130 km che ci separano da Venezia dove abitano i miei, ci sembrava la strada più sicura per evitare aeroporti e troppi incontri. Non l’opzione più comoda, perché un viaggio così, con due bambini piccoli e nessuna possibilità di fermarsi e spezzare eventualmente il viaggio sicuramente non era mai stata la nostra prima scelta. Siamo rimasti in Italia ben tre mesi. Andavamo in spiaggia ma solo negli orari in cui ancora la maggior parte delle persone ancora non aveva nemmeno fatto colazione, tornavamo a casa non appena ci accorgevamo che si stava riempiendo troppo. La mia bambina che la scorsa estate aveva ancora solo 4 anni, mi diceva: “Mamma andiamo, c’è troppa gente”. Un attimo dopo però chiedeva: -“Ma perché non stanno anche loro a casa? Per loro non è pericoloso il corona virus?” Mi ha sempre fatto una gran rabbia riconoscere che sì, lo era anche per loro, ma semplicemente non stavano prendendo sul serio la grave situazione ed erano egoisti. Sì, perché per me si trattava di questo, di una forma di egoismo e di non rispetto per chi invece ce la stava mettendo tutta per rispettare le regole, tentando comunque di non intrappolare in casa dei bambini che per primi stavano e stanno soffrendo.
– In molti non si fidano dei vaccini contro il COVID – 19. Gli stessi dottori sono scettici sull’immunità di gregge. Come pensi si evolverà la situazione?Non so se il vaccino ci salverà completamente dalla situazione, non sono un’esperta. Ma io mi vaccinerei subito, se questa è la nostra speranza, voglio sperare.
– In questo periodo di clausura si sono accentuati alcuni disturbi come quelli alimentari. Tu ne soffri?Purtroppo ogni cosa si è aggravata durante lo scorso anno. Ogni problema è diventato più grande. Molte persone sono cadute in depressione, molte persone accusano di più lo stress rispetto al solito, molte soffrono di stati d’ansia, molte si sentono sole. I disturbi alimentari sono aumentati del 30%, questo vuol dire che ci sono più persone che ne soffrono ora certo, ma anche che chi ne soffriva e stava combattendo, si è ritrovato a doverlo fare da solo, me compresa che durante lo scorso anno sono caduta in una forte depressione e sono ricaduta nei sistemi ciclici e autodistruttivi della bulimia, ma ho una famiglia che mi sta vicino, due bambini a cui fare da mamma, non sono sola, sono fortunata. Già prima della pandemia il numero di persone affetto da questa malattia era allarmante. In Italia siamo ora circa 3 milioni. 3 milioni! E comunque continua a venire catalogata come una malattia di serie B, un “disturbo” infatti. Ho sempre odiato questo nome. Ci sono tanti mali bruttissimi, ma l’anoressia, la bulimia, il binge eating.. lo sono altrettanto. Io soffro di disturbi alimentari da 19 anni purtroppo. Ho avuto alti e bassi. La mia storia è iniziata con l’anoressia e poi si sono alternate le varie facce (tutte mostruose) della malattia. Il 15 marzo 2021, al 10. anniversario della giornata nazionale dei disturbi alimentari, la giornata del fiocchetto lilla, ho deciso fosse arrivato il momento di raccontare la mia storia e condividere sui social la canzone che avevo scritto di getto due anni prima. E’ uno sfogo, non sono una cantante, è chiaro, e non mi voglio spacciare come tale, la mia era solo un’esigenza chiara di gridare aiuto e di far sentire la mia voce. Mi auguro possa essere un piccolo contributo nella lotta contro questo mostro che di categoria B certo non è.
– Cecilia come vedi il futuro?A dir la verità faccio fatica a vedere il futuro. Tutti mi dicono, tieni duro, passerà, tornerai sul palco, tornerai a viaggiare.. C’è chi mi dice di non sprecare le forze, di sfruttare il momento di “pausa”, di concentrarmi, di essere pronta al “dopo guerra” perché quel momento arriverà. Io so solo una cosa. La mia valigia è pronta, il mio violino pure. Appena potrò, ripartirò, ricomincerò a suonare, ci sarò e sarò più consapevole di quello che mi è mancato e di quanto importante fosse per me. Perché questa pandemia mi ha tolto una gran fetta della torta, la parte più dolce, mi ha tolto la musica, la libertà e i sogni.