di Roberto Dall’Acqua
– Edoardo Breda. Perché l’attore?
Da bambino ero estremamente timido e fu consigliato ai miei genitori di farmi seguire un corso di teatro. Funzionò. Quello che all’inizio era a tutti gli effetti un gioco stava diventando dentro di me una realtà importante fino a sfociare in una vera e propria passione. Vedevo il palco come quel luogo dove mi sentivo visto e amato dagli altri e dove mi sentivo importante. Solo dopo aver frequentato l’Accademia di recitazione “Beatrice Bracco” a Roma, ho capito che essere attori vuol dire cercare di vedere e accettare non solo gli altri ma soprattutto noi stessi, poiché siamo proprio noi gli strumenti che ci permettono di creare un personaggio come essere vivente.
– Dove hai recitato finora?
Ho recitato per due anni in un’associazione culturale di Milano, “Kerkis -Teatro Antico in scena” nelle commedie “Pluto” di Aristofane e “Rudens” di Plauto per la regia di Christian Poggioni. Attualmente sto portando avanti un mio progetto artistico dal titolo “In Vino Veritas” e che spero di mettere in scena a teatro. Inoltre a breve ricoprirò due piccoli ruoli in una serie tv RAI e in un film.
– Alejandro Jodorowski afferma: “Girare è un orgasmo ininterrotto”. Parafrasando: “Recitare è un orgasmo ininterrotto”?
Ritengo che ciò che l’attore debba provare quando è in scena o davanti alla macchina da presa sia godere di quel momento. Ricordo che, soprattutto all’inizio, in scena o anche dopo aver concluso una replica, si è come travolti da una scarica di adrenalina che ti attraversa tutto il corpo come una scossa elettrica. Quando senti che il pubblico apprezza il tuo lavoro si prova una sensazione di autorealizzazione e di potere che l’unica cosa a cui pensi è “ne voglio ancora” anche se sei streamato di fatica.
Non è semplice anche perché quello che vogliamo, non solo come attori, ma anche come individui è il risultato; questo purtroppo è il lato peggiore della professione dell’attore poiché porta all’ansia e allo stress che non gli permettono di esibirsi come lui vorrebbe.
– Il tuo ricordo personale o professionale più emozionante.
Per quanto riguarda il primo è sicuramente la sera in cui – al termine di uno spettacolo con la compagnia del liceo in cui interpretavo un personaggio tratto da un’opera di Stefano Benni – sono andato dai miei genitori e gli ho confidato la mia decisione, una volta terminati gli studi, di voler intraprendere la carriera di attore poiché avevo capito che recitare mi rendeva felice. Per quanto riguarda quello professionale non dimenticherò mai il saggio della mia Accademia di recitazione quando, interpretando il personaggio di Ken Gorman dell’opera “Rumors” di Neil Simon, la mia compagna di scena ebbe un blocco dovuto all’ansia. In quel momento, grazie a una mia improvvisazione, siamo riusciti a andare avanti e a far divertire il pubblico. Lì ho capito cosa deve fare un attore quando la situazione si inceppa: la consapevolezza di portare a casa la scena.
– Come vedi il tuo futuro? Obiettivi personali e professionali.
Al momento nella mia vita le parole personali e professionali sono la medesima cosa. Come ho detto prima sto lavorando ad un progetto artistico di cui sono autore e mi piacerebbe riuscire a portarlo in scena entro il prossimo anno. Sento che il mio lavoro è solo all’inizio e che dovrò lavorare sodo. Il futuro è tutto da scoprire.