Marco Ferrante, direttore sportivo ed ex attaccante di Torino, Napoli, Inter, Parma, Bologna e tante altre (ha chiuso la carriera con 229 gol in 540 partite), è stato intervistato in esclusiva da Rosario Carraffa per TuttoPalermo.net, durante il programma in radiovisione “Today Sport” su RTA, parlando di Serie A, Serie B e tanto altro.
Quale è il tuo parere su questa Serie A, in cui c’è la Juventus sempre in testa, col Napoli ad inseguire, le milanesi che vanno bene a fasi alterne?
“E’ un campionato diviso in due tronconi: Juventus, Napoli e anche l’Inter, che però pur vincendo ieri non sta facendo un campionato all’altezza, e dall’Inter in giù un altro troncone che può ambire all’ultimo posto per la Champions ed ai posti per l’Europa League. A differenza di altri campionati, il nostro è abbastanza altalenante, perchè abbiamo solo due squadre davvero importanti”.
In effetti è da un po’ di anni che va così. Solo la Roma ha provato ad inserirsi in questo dualismo, ma quest’anno è stata deludente in alcune parti di campionato.
“Diciamo che le romane sono a ridosso delle prime, anche se distaccate, però possono ambire ad un posto Champions perchè dotate di un ottimo organico. Ci si aspetta però qualcosa di più”.
Conosci bene la Serie B, nel 1998/1999 hai anche segnato 26 reti conquistando il titolo di capocannoniere. Cosa serve per andare in Serie A, oltre avere un buon organico?
“Io penso che il problema del calcio italiano sia “a caduta”: così come in Serie A ci sono solo due squadre che spadroneggiano e il resto è un po’ border-line, perchè tutte possono perdere contro tutte, anche in Serie B succede questo. Il Palermo è dotato di un organico più forte degli altri e alla lunga non penso abbia problemi a raggiungere la promozione diretta. Per il resto tutto è aperto perchè non ci sono squadre che hanno un percorso continuativo da far si che possano vincere consecutivamente. I rosanero hanno un collettivo un po’ più importante perciò sono loro la squadra da battere. Per vincere bisogna avere un terminale offensivo che sfori i venti gol ma soprattutto una difesa solida. I campionati si conquistano con la miglior difesa, difficilmente col miglior attacco”.
Quale è l’attaccante tra A e B che ti piace di più o comunque ritieni che possa crescere nel tempo?
“Il mio preferito (ma che la carta d’identità non dà questo tempo) è Quagliarella. E’ esaltante: fa gol di ottima fattura ed è stato convocato in nazionale. Su tutti direi Chiesa: è un finto attaccante che a fari spenti può far male a qualsiasi difesa. Lo vorrei vedere in una squadra di primissima fascia, non che la Fiorentina non lo sia, o in Italia o all’estero e capire come rende il ragazzo”.
In Europa chi pensi che possa andare avanti, anche fra le italiane?
“Le squadre di Guardiola sono molto sornione. Comunque all’estero credo Barcellona e Manchester City. Per l’Italia si spera nella Juventus perchè se non dovesse vincere quest’anno la Champions League, io penso non la vincerà più. Ha un organico importante, un terminale offensivo che ha vinto le ultime tre Champions, tra gli addetti ai lavori si sa che è stato preso per questo. Ci sono tutti i propositi, però alle volte non bastano”.
Non volendo metterti in difficoltà, a quale città sei rimasto più legato?
“Non è mio costume sputare nel piatto su cui ho mangiato: massimo rispetto di tutte le tifoserie di dove uno può aver fatto bene o meno. Sicuramente a Napoli, dove sono cresciuto calcisticamente e dove ho avuto la fortuna di giocare con Maradona, però la storia l’ho fatta a Torino. Ho seganto 127 gol in sette anni e mezzo, esclusa la parentesi con l’Inter”.
Proprio riguardo la tua parentesi all’Inter, era la più brutta e questo non ti ha aiutato?
“Ma anche quella di quest’anno non scherza, perchè il campionato le permette di stare al terzo posto, ma per quanto fatto dai nerazzurri è un pò come l’Inter in cui ho militato io, dove due turni vincevi, due pareggiavi e due perdevi e così via, un po’ come ora. In questo trend della Serie A ti puoi permettere, nonostante tutto, di consolidare il terzo posto. Invece quando giocavo io in quella Serie A li, se sbagliavi più partite non eri terzo/quarto, ma potevi incappare nel settimo/ottavo posto”.
Quanto manca il Palermo in Serie A?
“Io sono un estimatore del Sud, essendoci cresciuto calcisticamente. Mi è sempre piaciuto giocare alla Favorita perchè c’era un pubblico entusiasmante, passione, c’è tutto. Anche quando, a differenza di altri stadi, quando la squadra era in svantaggio anche al 95′ il pubblico incitava i ragazzi. Questo è di buon auspicio sia per l’entusiasmo della piazza che per i ragazzi che vanno in campo. E’ brutto vedere che in A ci siano poche squadre del Sud. Ci sono squadre come Spal, Sassuolo o lo stesso Chievo, bacini più piccoli consolidati in Serie A, e non ci sono Palermo, Catania. Purtroppo anche se rischiano di vincere il campionato, dopo uno-due anni tornano in B. Spero che ci sia più organizzazione societaria e che questo non accada più”.
Cosa cambia tra ruolo di direttore sportivo e quello di calciatore?
“Io ho fatto il corso due-tre anni fa per piacevolezza di questo ruolo. Ora il calcio è un po’ cambiato e se non c’è una programmazione, un futuro, un’organizzazione societaria è meglio aspettare, senza andare in location dove sei provvisorio. Il ruolo di direttore e allenatore è un pò imbarazzante perchè delle volte paghi per colpe non tue, ma è più facile mandare via un direttore o un allenatore che venti giocatori”.